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17/11/2025

Q&A con Debora Guarda: l'evoluzione del marketing e della digitalizzazione in fiera

Il marketing: un mondo in continua evoluzione

Negli ultimi quindici anni sono cambiate innumerevoli cose nel mondo del marketing, soprattutto dal punto di vista della digitalizzazione. E ci siamo chiesti: “In un contesto molto 'fisico' come una fiera, che ruolo può avere il digitale?”

Ne abbiamo parlato con Debora Guarda, Marketing & Communication Manager che, vivendo da sempre il mondo fieristico, ha visto cambiare profondamente approcci e linguaggi.

 

Il cambiamento del marketing negli anni

Com’è cambiato l’approccio delle aziende al marketing negli anni?

«Ho visto un cambiamento enorme. Tutto parte dei clienti, che oggi non scelgono più solo un prodotto: si sceglie il percorso che un’azienda compie, le persone che la compongono, il modo in cui comunica. Di conseguenza, in azienda è cambiato proprio il linguaggio con cui ci si rivolge al cliente: non si comunica più solo cosa vendi, ma anche chi sei e come lavori.

Anni fa il focus era quasi esclusivamente sul prodotto. Soprattutto nel B2B, invece, pesa molto anche l’aspetto umano e la cultura aziendale. I social, la comunicazione, il modo in cui ti presenti contano quanto le caratteristiche tecniche. Il cliente vuole vedere un insieme coerente: persone, valori, stile, approccio. E questo ha trasformato il marketing, rendendolo un lavoro molto più trasversale rispetto a prima.»

 

C’è qualcosa che prima funzionava bene e che ora non si fa più?

«Forse è cambiato soprattutto il modo in cui “si spende il tempo”. Una volta la fiera era più statica: mostravi i prodotti e quello era il cuore dell’attività. Oggi non basta più.

Ora quando siamo in fiera facciamo molta più attenzione all’insieme: lo stand deve essere accogliente e funzionale, certo, ma deve anche essere pensato per diventare contenuto. Foto, video, post, newsletter… un singolo momento in fiera può vivere su tanti canali diversi.

Questo ha cambiato l’approccio: prima si faceva una cosa per volta, adesso tutto è più dinamico. C’è una necessità continua di creare materiali da condividere e questo porta ad avere uno sguardo molto più attento, visivo e immediato rispetto al passato.»

 

C’è qualcosa che quando hai inziato sembrava un miraggio e che oggi è diventato parte del tuo lavoro quotidiano?

«Direi un po' tutta la parte legata alla digitalizzazione e all'automazione. Oggi fa parte del mio lavoro in modo naturale, ma anni fa non l’avrei mai immaginato.

Penso, ad esempio, alla raccolta dei contatti in fiera: prima scrivevamo tutto su carta, ma oggi è un metodo che troviamo molto scomodo ed obsoleto per il nostro metodo di lavoro. Ora usiamo una piattaforma dedicata, fruibile da tablet, che ci permette non solo di lavorare meglio ma anche di presentarci ai clienti come un’azienda moderna e all’avanguardia.

E poi c’è tutto ciò che avviene dopo. Una volta il post-vendita era quasi scollegato dalla comunicazione; oggi è l’opposto. Durante l’installazione dei nostri sistemi raccogliamo contenuti, documentiamo, supportiamo il cliente anche da remoto. Il service è diventato parte integrante della startegia di marketing e della comunicazione: è molto più digitale e molto più connesso rispetto a qualche anno fa.»

 

Il ruolo del marketing durante le fiere 

Dato che hai nominato le fiere, come vedi oggi il ruolo del marketing durante quesi eventi?

«La fiera non è solo promozione. È networking, relazione, ascolto, confronto. Ed è per questo che il marketing diventa un vero e proprio collante.

Il nostro compito è far dialogare tutto quello che succede: l’immagine dello stand, il modo in cui ci presentiamo, la comunicazione che accompagna il prima, il durante e il dopo. Il marketing tiene insieme reparti diversi, persone diverse e momenti diversi, creando un fil rouge che permette all’azienda di mostrarsi per ciò che è davvero — non solo attraverso i prodotti, ma attraverso come li racconta e come si relaziona con chi passa dallo stand.»

 

Cosa c’è dietro l’organizzazione di una fiera? E cosa ti piace di più (e di meno) di questo processo?

«Le fiere sono un mondo a parte. La preparazione inizia anche due anni prima: documenti per la sicurezza, modulistica, iscrizioni, dettagli logistici… tutta una parte molto burocratica che, devo dirlo, è quella che mi piace meno perché è la meno creativa.

Ma quando arrivo in fiera cambia tutto. Vedo il risultato finale e capisco il valore di tutto il lavoro fatto. Mi aiuta a sentirmi una figura completa, perché so esattamente cosa succede prima ancora di aprire lo stand. È lì che entra in gioco la parte che preferisco: la creatività.

Fare foto, registrare video in real time, raccontare ciò che accade, osservare le persone che si avvicinano ai prodotti… quella è la parte in cui mi sento nel mio elemento. È il momento in cui tutto prende vita e ti ricordi perché fai questo lavoro.»

 

Quando riesci a capire di aver fatto una buona fiera?

«Non lo capisco solo dal numero di contatti, anche perché oggi con il sistema di raccolta contatti di cui parlavo prima è molto più semplice sapere quante persone sono passate dallo stand. La vera misura è la qualità del network che si crea.

Per me una buona fiera è quando riusciamo a costruire relazioni che vanno oltre il semplice “nome, cognome, mail e numero di telefono”. Conta come ci presentiamo prima di arrivare lì, cosa riusciamo a trasmettere durante l’evento e come proseguiamo dopo.

Le interazioni sui social, le persone che si fermano allo stand, il tipo di conversazioni che riusciamo a generare… tutto questo racconta molto di più dei numeri.

Una volta si vendeva direttamente in fiera; oggi è più raro. Ma se riesci a creare un rapporto solido e credibile, la vendita arriva dopo. E questo succede proprio perché il cliente sceglie l’azienda nel suo insieme, non solo il prodotto.»

 

Quando sei in fiera ti capita di osservare gli stand dei competitor? Cosa noti per primo quando li guardi?

«Sì, certo, mi capita spesso. La prima cosa che mi noto è l’impatto visivo: colori, font, grafica, il modo in cui è costruito lo stand. L’occhio fa la sua parte, e quello che attira me è quasi sempre ciò che attira anche un potenziale cliente.

Poi osservo come si presentano e l’approccio che hanno con le persone. Alla fine facciamo tutti lo stesso lavoro e condividiamo lo stesso mercato, quindi c’è sempre rispetto, ma è interessante studiare cosa fanno bene e cosa potremmo migliorare noi.

Nel settore in cui opera la mia azienda, quello industriale, creare impatto non è scontato. I prodotti non sono “belli” come quelli di design, sono tecnici. Proprio per questo mi piace vedere come ogni azienda prova a distinguersi e a rendere la propria presenza in fiera più immediata, chiara e riconoscibile.»

 

La digitalizzazione che ha guidato il cambiamento

Guardandovi intorno e partecipando a tante fiere, c’è stato un momento in cui avete capito che serviva cambiare approccio? 

«Sì, soprattutto nella gestione del cartaceo. Arrivavamo in fiera con tantissimi cataloghi stampati e con fogli pieni di contatti scritti a mano. Era complicato leggere ciò che avevamo raccolto, capire da chi arrivava il contatto e gestire tutto nel post-evento. Oltre al disordine, era anche uno spreco economico.

A un certo punto abbiamo realizzato che non aveva più senso lavorare così. Oggi utilizziamo una piattaforma dedicata che dialoga con il nostro CRM: raccogliamo i contatti in modo digitale, da tablet, e possiamo dare risposte rapide e precise ai clienti.

Anche la parte dei cataloghi è cambiata completamente: ora utilizziamo strumenti digitali come sfogliabili o QR code — che portano direttamente alla soluzione cercata dal cliente. È stato un cambiamento enorme: risparmiamo risorse, siamo più efficienti e ci presentiamo in modo più moderno.»

 

Come immagini le fiere del futuro per l'azienda dove lavori?

«Le immagino ancora più digitali. Penso all’intelligenza artificiale come supporto, ma soprattutto a strumenti immersivi come i visori per la realtà aumentata. Sarebbe bello poter far vivere al cliente un’esperienza completa già allo stand, portandolo “dentro” l’azienda anche se siamo a chilometri di distanza.

Non solo mostrare il prodotto, ma permettere alle persone di vederlo in azione, di capire come funziona, di visitare virtualmente i nostri spazi o le nostre linee produttive.

Per me il futuro delle fiere è questo: unire l’incontro umano — che non potrà mai mancare — a tecnologie che rendono tutto più coinvolgente e immediato. Essere più connessi e più vicini al cliente anche durante quei pochi giorni di evento.»

 

Che consiglio daresti a chi si occupa di marketing fieristico per la prima volta?

«Di non avere paura di sbagliare. La fiera è un percorso fatto di tante fasi diverse e richiede di interfacciarsi con molte persone: dal responsabile della sicurezza al CEO, fino ai fornitori e ai colleghi dei vari reparti.

È normale commettere qualche errore, soprattutto all’inizio, perché ci si occupa davvero di tutto. Ma ogni errore diventa un insegnamento che ti permette di arrivare più preparato alla fiera successiva. Bisogna essere curiosi, disponibili e pronti a uscire dalla propria comfort zone. È un lavoro che ti mette alla prova, ma che allo stesso tempo ti fa crescere tantissimo.» 

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